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Benessere e capacità di azione

Obiettivo fondamentale del lavoro sociale e delle professioni di aiuto è il benessere della persona, inteso come “bene dell’uomo”. Le professioni di aiuto sono per antonomasia “professioni di benessere” (welfare professions).

Il concetto di benessere è di difficile definizione. Sicuramente però il benessere è quella condizione interna di una persona caratterizzata da sensazioni di piacere, felicità e soddisfazione. Pertanto il benessere è determinato dalla consapevolezza di disporre o poter accedere alle risorse necessarie alla sopravvivenza in primis – alla soddisfazione dei cosiddetti bisogni primari -, quindi allo sviluppo personale/sociale, alla soddisfazione dei cosiddetti bisogni artificiali o culturali.

Comunemente il benessere viene identificato con la prosperità, vale a dire con il possesso di risorse materiali, denaro, casa, beni di consumo, ecc. Ma il benessere è soprattutto una realtà immateriale di ordine soggettivo: è il modo con cui la disponibilità di una risorsa è vissuta (interpretata) dagli interessati. E’ un sentimento che deriva da come l’equilibrio fra bisogni e risorse si realizza ai loro occhi.

E qui entra in gioco un concetto fondamentale: quello di capacità di azione.

Ogni persona ha una parte attiva nel riprodurre le condizioni del proprio benessere, ciò che chiameremo appunto “capacità di azione” o “autonomia”.

La “capacità di azione” può essere definita come la possibilità delle persone di riunire assieme le loro facoltà sparse dentro e fuori da se stesse, così da poter fronteggiare le situazioni e soddisfare i loro bisogni, processo da cui emerge il loro benessere.

Gli anglosassoni chiamano questo benessere well being per distinguerlo dal welfare, inteso come semplice mancanza di privazioni.

Si tratta di vedere meglio come si articola questa capacità di azione.

Si può ipotizzare di distinguere tre livelli di “capacità di azione”, che chiameremo autosufficienza (autonomia basilare), autorealizzazione (autonomia superiore) e eterorealizzazione (autonomia sociale propriamente detta).

L’autosufficienza: cura di sé

Il livello più semplice dell’autonomia è la capacità di svolgere compiti essenziali della vita quotidiana. Definiamo questa competenza come l’insieme delle capacità/abilità che rendono le persone capaci di rispondere a bisogni che attengono alla sopravvivenza fisica e al mantenimento di minimi standard di qualità di vita socialmente definiti.

Sul piano funzionale l’autosufficienza si concretizza nella padronanza delle abilità di base, cioè di alimentazione, di igiene della persona e dell’ambiente di vita, di mobilità, di sicurezza personale, ecc.; delle abilità della vita di relazione, come il rispetto di norme e routines sociali, ecc; delle più semplici abilità relative alla vita lavorativa, come uso del denaro, del tempo, ecc.

La caratteristica concettualmente più rilevante di queste competenze elementari, e dei bisogni che le sorreggono motivazionalmente, è la loro natura coattiva o comunque poco discrezionale. I bisogni tipici dell’autosufficienza in qualche modo si impongono alla persona. Non si può non alimentarsi, non bere, non dormire, non evitare danni fisici o traumi, ecc.

Meno tassativi dei bisogni biologici, ma pur sempre vincolanti, sono i bisogni sociali. Si dice così di quei bisogni indotti dalla società in cui la persona vive Neppure queste, tuttavia, possono essere trascurate oltre limiti critici, pena un altro genere di sofferenza, quella sociale, vale a dire l’emarginazione o l’esclusione dalle relazioni con i propri simili.

Quando le persone non riescono ad agire sui loro bisogni basali neppure con facilitazioni presenti nell’ambiente, siamo di fronte ad un problema sociale. Notoriamente le professioni sociali hanno a che fare con persone che presentano limitazioni strutturali nell’apprendimento e nell’esercizio delle elementari capacità di autosufficienza. Ad esempio, persone con ritardo mentale, che non le hanno potute acquisire o le hanno acquisite in parte; gli anziani non autosufficienti, che le hanno in parte perse; i malati di mente, che ne hanno smarrito le coordinate di esercizio.

L‘autorealizzazione: sviluppo di sé

Un differente livello di autonomia riguarda un campo di competenza che attiene allo sviluppo della persona come tale, ovvero il complesso delle capacità necessarie ad assicurare ciò che comunemente si dice “realizzazione di sè”.

Mentre il campo dell’autosufficienza è segnato da bisogni primari, l’autorealizzazione invece implica il fatto che il soggetto interessato sappia darsi degli obiettivi, fare delle scelte, più che rispondere a bisogni tassativi. In generale, l’atto discrezionale di scegliere valori, orientamenti e interessi a cui tendere, richiama alla mente la cultura, l’arte, lo sport, la socialità, la creatività.

La realizzazione personale presuppone un cambiamento che si direzioni lungo una direttrice ideale di “progresso”.

Hopson e Scally hanno tentato di precisare le singole competenze che costituiscono il selfempowerment (autorealizzazione):

  • sentirsi aperti al cambiamento; avere le abilità necessarie per cambiare aspetti di se stessi; saper individuare delle mete e specificare i passi operativi per raggiungerle; essere coscienti del proprio potere di valutazione, di influenza e autodirezione.

 

Il lavoro sociale professionale si interessa alle disfunzioni o all’atrofia delle competenze autorealizzative.

Ad esempio, varie forme di devianza o di dipendenza da sostanze possono essere viste come situazioni dove il progresso oggettivo della persona si arresta e addirittura si inverte.

Rientrano in questa classificazione anche manifestazioni di mancata capacità di programmazione o di governo della propria vita, come nel caso di persone ipodotate o emarginate, con storie di grave abbandono e così via.

Queste persone potrebbero essere in grado di badare alla propria sopravvivenza pura e semplice, ma per cause interne/esterne non riescono ad evitare continue azioni/scelte sbagliate, regressive della personalità.

L’eterorealizzazione: cura/sviluppo di altri

Questo livello di competenza ricomprende attitudini e abilità che rendono possibile l’interesse/la cura per gli altri, ovvero tutto ciò che permette l’assunzione di precise responsabilità sociali.

Si può perfino parlare, a questo livello, di un bisogno di interessamento all’altro come tipico dell’essere sociale. L’eterorealizzazione costituisce in effetti lo snodo tra l’individuo ed il sociale.

Il benessere di ogni persona si basa sulla possibilità che un suo deficit di competenza possa essere compensato da surplus di autonomia di qualche altra persona o di molte altre in interdipendenza.

Che cosa sono in effetti gli operatori professionali di aiuto? Sono persone appositamente perfezionatesi in questa più sofisticata dimensione dell’autonomia personale.

Riflessione

La distinzione dei tre livelli della capacità di azione va intesa come un esercizio analitico; nella realtà non esiste frammentazione, anzi tra i livelli qui discussi vi è circolarità, più che una progressione lineare dall’uno all’altro, come si può visualizzare nella figura.

 

 

Dott.ssa M. A. Valenti



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