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Sentenza della Suprema corte di Cassazione n. 1705/99
(Depositata in Cancelleria il 1 marzo 1999.)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente SENTENZA  sul ricorso proposto da:
C.S. quale padre esercente la patria potestà sul figlio minore C. G.
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
-controricorrente-
avverso la sentenza n.668/96 del Tribunale di CAGLIARI, depositata il 02/12/96.
Svolgimento del processo
Il sig. S. C. ha fatto domanda, l’11.11.95, al Ministero dell’Interno per ottenere l’indennità di accompagnamento ai sensi della l.11.2.80 n.18, od in subordine quella di frequenza prevista dalla legge n.289/90 a causa dell’invalidità del figlio minore, affetto da leucemia.
Non avendola ottenuta ha fatto ricorso al Pretore, in data 22.11.94, che ha rigettato la domanda.
Il Tribunale di Cagliari, con sentenza del 2.12.96, ha confermato la decisione pretorile basandosi sulla c.t.u. espletata in primo grado.
Essa aveva accertato, ha rilevato il Tribunale, che nel 1992 le condizioni del minore, a seguito del trattamento chemioterapico cui lo stesso era stato sottoposto, venivano considerate stabilizzate per la scomparsa di alterazioni morfologiche caratteristiche della malattia.
Egli, infatti, aveva frequentato la scuola con buoni risultati ed anche svolto attività sportive.
Doveva, pertanto, considerarsi soggetto in grado di svolgere in modo autonomo e completo tutti i compiti e le funzioni proprie della sua età, sicché non gli spettava né la indennità di accompagnamento nè quella di frequenza.
Nè il requisito sanitario, ha rilevato il Tribunale, poteva esser ancorato unicamente al periodo in cui il minore aveva eseguito la terapia chemioterapica, sia con la degenza a tempo pieno che in regime di day hospital, giacché tale situazione, precaria e circoscritta nel tempo, in funzione dei tempi della cura, non appare comunque idonea ad integrare la condizione di “difficoltà persistenti” richiesta dalla legge ai fini della concessione della provvidenza richiesta.
Il Tribunale ha ritenuto del tutto abnorme e frutto di un travisamento dei fatti il provvedimento con il quale la commissione di prima istanza della USL, in data 12.10.95, a fronte di un quadro anamnestico coincidente con quello analizzato dal consulente, dopo aver dato atto che le condizioni cliniche del paziente sono soddisfacenti ha riconosciuto la sussistenza di difficoltà permanenti.
Il sig. C. chiede la cassazione della sentenza con ricorso sostenuto da un unico motivo; il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli art.1 ss. della l.11.10.n.289 e motivazione insufficiente e contraddittoria.
Premesso che il figlio era rimasto ricoverato dal settembre 1991 all’aprile del 1992 e quindi aveva praticato la chemioterapia in day hospital fino al gennaio 1993, egli imputa al Tribunale di non aver approfondito il predetto periodo durante il quale al figlio spettava l’indennità in questione facendo riferimento l’art.1 della l.289/90 anche al ricorso continuo o anche periodico di trattamenti riabilitativi o terapeutici.
L’istituto di clinica pediatrica dove il minore era stato ricoverato aveva rilasciato certificato da cui risultava che la terapia era durata sino al gennaio del 1993 e che durante tutto il periodo di terapia il paziente era fortemente limitato a compiere le attività proprie della sua età e aveva continua necessità di un accompagnatore.
Di tale certificato il Tribunale non aveva tenuto alcun conto negando che durante la terapia spettasse l’indennità richiesta trattandosi di una situazione circoscritta nel tempo che non integrava le difficoltà persistenti richieste dalla legge per l’erogazione della stessa.
Il Tribunale non aveva valutato che trattavasi di indennità e non di pensione per la quale assumono rilievo anche i periodi circoscritti.
La censura è fondata nei limiti appresso indicati.
Essa, in sostanza, imputa al Tribunale di aver escluso, in tesi, che durante il periodo di chemioterapia possa spettare l’indennità in questione giacché tale periodo non potrebbe esser compatibile con la persistente difficoltà richiesta dalla legge per la erogazione della stessa.
L’asserzione del Tribunale è smentita dal tenore del testo legislativo.
L’art.1 della l. n.289 del 1990 prevede, al primo comma, che ai mutilati ed invalidi civili cui siano state riconosciute difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età, è concessa, per il ricorso continuo o anche periodico a trattamenti riabilitativi o terapeutici, a seguito della loro minorazione, una indennità mensile di frequenza.
Tale indennità è subordinata dal secondo comma della norma stessa alla frequenza continua o anche periodica di centri ambulatoriali o di centri diurni, anche di tipo semiresidenziale, pubblici o privati purché operanti in regime convenzionale.
Contrariamente a quanto mostra di ritenere il Tribunale una delle funzioni precipue dell’indennità in questione – le altre sono specificate dal comma 3 della predetta norma – presuppone proprio la frequentazione continuativa di centri ospedalieri – e quindi i periodi di malattia – che invece, secondo il Tribunale, sarebbero pressocché ontologicamente incompatibili con le persistenti difficoltà a svolgere i compiti e le funzioni della propria età.
Questo requisito, lungi dal trovarsi con il primo in rapporto di esclusività, ha rispetto ad esso funzione coessenziale.
L’erogazione della indennità resta, tuttavia, esclusa, ai sensi dell’art.3 della l. in esame allorché il minore, in persistente difficoltà, sia in stato di ricovero.
Ora, poiché è incontestato che il minore per cui è causa restò in tale situazione dal settembre 1991 sino all’aprile del 1992, per tale periodo l’indennità non spetta.
Per il periodo successivo, sino al gennaio del 1993, essa spetta ove venga accertata la condizione di persistente difficoltà in relazione alla quale il giudice del rinvio si atterrà oltre che al predetto principio di diritto alla disposizione dell’art.445 c.p.c.
Nella stessa censura il ricorrente si duole altresì del fatto che, per il periodo successivo alla fine delle terapie, per le quali il Tribunale ha ritenuto, sulla base della consulenza, che fosse avvenuta una piena riabilitazione del minore tale da consentirgli una normale esistenza, esso abbia disatteso il provvedimento della commissione ritenendolo del tutto abnorme e frutto di un travisamento.
Tale punto della censura è inammissibile giacché esso non denuncia alcun errore diagnostico frutto di devianza da consolidati principi medici ma si limita a contrapporre alla c.t.u., su cui il Tribunale ha fondato la sua decisione, un mero dissenso diagnostico.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, per quanto di ragione, cassa e rinvia anche per le spese al Tribunale di Tempio Pausania.
Roma, 19 novembre 1998.



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