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INTERVENTI SOCIALI RIVOLTI ALLA PERSONA ANZIANA

LA REALTA’ DEGLI ANZIANI IN ITALIA

L’Italia è notoriamente diventato uno dei Paesi a più elevato invecchiamento nel mondo.
Il tema della non autosufficienza legata all’età avanzata delle persone sta diventando sempre più oggetto di attenzione.
Come è noto, infatti, l’allungarsi della vita non va sempre, purtroppo, di pari passo con il mantenimento di buone condizioni di salute o di condizioni sufficien­temente compatibili con una gestione di vita autonoma.
Il fenomeno è avvenuto ad un ritmo e con una intensità forse non del tutto prevista, cosa che ha esasperato carenze già esistenti nell’ambito dell’assistenza agli anziani, sia per quanto riguarda i servizi degli Enti locali che del Servizio sanitario. Esso va visto anche alla luce del fatto che un numero crescente di più anziani vivono soli (oltre il 32%), per molteplici fattori, primo fra tutti la morte del coniuge.
Sia nei termini di quantità che di qualità delle risposte esistenti (e pur nelle differenze talora macroscopiche fra una regione e l’altra) il territorio e i suoi servizi, pubblici e privati, sono apparsi da tempo in tutta la loro insufficienza.
Sono emerse, infatti, proprio per il forte allargamento della fascia di utenti potenziali, necessità nuove, più complesse, legate alle varie tipologie di problematiche presenta­te dalle persone; così come è modificata, allungandosi, la durata del periodo dello stato di non autosufficienza, che sempre con maggiore frequenza può perdurare per molti anni.
Le famiglie, come si sa, già da alcuni anni hanno trovato anche forme autonome di risposta al bisogno, principalmente nella figura delle “badanti”, ausilio domi­ciliare la cui disponibilità sul mercato del lavoro si è accentuata in relazione ad un altro contemporaneo fenomeno in grande espansione nella società italiana, presente in tutte le comunità sia macro che micro: il flusso migratorio.

La richiesta di intervento ai servizi sociali, sia degli Enti locali che del sistema sanitario, è andata analogamente espandendosi. Infatti in molte zone i servizi sociali, comunali e delle aziende sanitarie, hanno visto crescere sia la domanda di prestazioni domiciliari che di interventi residenziali o semi-residenziali.
Regioni ed Enti Locali hanno inserito questo ambito di intervento al centro delle priorità e della programmazione da tempo: con qualche problema di bilancio, non essendo ancora stata emanata la legge a tutela della Non Autosufficienza, tanto auspicata, che dovrebbe indicare le linee ma soprattutto le fonti finanziarie specifiche per coprire i bisogni di questa area.
Le leggi sia in campo sociale che sul campo sanitario cui si fa riferimento per i provvedimenti regionali e locali, non mancano, peraltro, di dare indicazioni precise circa le linee di intervento: dal decreto di riforma 229/99, coerentemente con il “Progetto Obiettivo Anziani”, alla legge quadro 328/00 da cui le leggi regionali hanno ripreso le linee politiche.
Esse indicano nella domiciliarità delle cure il cuore e il senso primario degli interven­ti a favore degli anziani con problemi di autosufficienza, laddove ciò sia possibile, individuando percorsi e strumenti ( ADI, aiuto domestico, varie forme di sostegno economico, ecc.) che devono prevedere l’integrazione delle competenze professionali e dei programmi, in quanto tutti gli aspetti della vita dell’anziano sono compromessi e in gioco in presenza di progressive gravi invalidazioni, compreso quello delle relazioni, dell’affettività, della socialità.
Si accentua tuttavia sempre più l’attenzione sulla “prevenzione” della dipendenza e non autosufficienza negli anziani, indispensabile ottica con cui si devono affrontare gli approfondimenti di tematiche legate alle patologie particolarmente invalidanti come le demenze senili ed il morbo di Alzheimer.

ASPETTI SOCIALI DELLA DEMENZA

L’incidenza della demenza aumenta con l’avanzare dell’età e costituisce un crescente problema medico, sociale, assistenziale ed economico, poiché la più elevata percen­tuale di soggetti si trova nelle classi di età più avanzate.
La demenza interferisce con l’autonomia e la dignità della persona ed è motivo di sofferenza non soltanto ai pazienti ma anche ai famigliari.
È stata definita un’“epidemia silenziosa ed ingravescente”, sicuramente “scomoda” per tutti: per i famigliari che convivono, per gli amici, per il medico, per gli infermie­ri addetti all’assistenza nelle strutture istituzionali.
L’impatto con l’immediato futuro di questa malattia è in Italia molto pesante, con un incremento dal 1980 al 2000 del 40-42%.
La tipica demenza primitiva su base degenerativa e a causa sconosciuta, descritta nel 1907 dallo psichiatra tedesco Alois Alzheimer in una donna di 51 anni, interessa il 50-55% di tutte le demenze dell’adulto.
La restante percentuale di demenze è secondaria alla patologia vascolare cerebrale (15-20%), e a forme miste o da altre cause.
Con il termine di demenza si identifica pertanto una sindrome clinica ben individuata che presenta sintomi comuni anche se dipendenti da cause diverse.
Si tratta fondamentalmente di un deterioramento globale, cronico, progressivo ed irreversibile delle funzioni corticali superiori precedentemente integre.
II declino interessa la memoria e le capacità di risolvere i problemi della vita quoti­diana. Affiorano e si rendono sempre più evidenti una riduzione delle capacità di orientamento nello spazio e nel tempo, certe difficoltà nei movimenti, alterazioni dell’affettività, una compromissione progressiva delle normali attività giornaliere.
AI soggetto demente diventa difficile con il trascorrere degli anni e poi impossibile fare la spesa, utilizzare denaro, prepararsi da mangiare, gestire le faccende domesti­che. In un tempo successivo non è in grado di lavarsi, vestirsi, cucinare ed in fase avanzata diventa totalmente dipendente ed ha bisogno in famiglia di un’assistenza continua.
La demenza tipo Alzheimer ha una progressione continua e consente una sopravvi­venza media di circa 6-10 anni. Non sono rilevabili differenze fra le classi sociali ma la mortalità è più elevata e più precoce nei soggetti istituzionalizzati rispetto a quelli che restano a domicilio.
L’inizio della demenza è abitualmente, ma non sempre, insidioso. II soggetto ed i famigliari notano una minore attenzione, una certa agitazione o apatia, una tendenza a dimenticare le cose, piccole inadeguatezze in alcune attività della vita quotidiana.
Possono manifestarsi alterazioni del comportamento di tipo depressivo o manifesta­zioni di violenza. Se la situazione clinica peggiora si possono avere allucinazioni e fissazioni, fughe notturne, mancato riconoscimento dei luoghi a loro familiari o di persone note.
I famigliari con l’andar del tempo e con il progressivo aggravamento dei disturbi cognitivi rischiano di diventare le “vittime” più facili di questo tipo di pazienti.
I parenti più stretti hanno la netta percezione di aver perso per sempre la persona cara che apprezzavano nella sua dinamicità e lucidità mentale. Si trovano di fronte ad un soggetto che degrada lentamente e progressivamente, elaborano fasi di sofferenza, di negazione, di impotenza, di coinvolgimento eccessivo, di mancata tolleranza dati gli impegni assistenziali, le frustrazioni che ne derivano e le scarse alternative di assi­stenza a domicilio con supporti esterni allargati.
Data la gravità e la preoccupante diffusione del problema, urge l’attuazione di servizi appropriati su tutto il territorio nazionale, come previsto dalla legislazione nazionale e regionale.

INTERVENTI A FAVORE DEGLI ANZIANI

E’ pertanto necessario un approccio globale ed integrato alla persona, che identifi­chi le diverse componenti della compromissione e consenta la formazione di pro­grammi di intervento individualizzati e continuativi.
Integrazione, flessibilità e continuità sono pertanto le caratteristiche qualificanti dei servizi a favore degli anziani.
Gli interventi da compiere:

  1.   Interventi prioritari per gli anziani non autosufficienti:
    • istituire le Unità di valutazione geriatriche (UVG) presso le divisioni di geriatria attualmente esistenti e, in fase sperimentale, in alcune U.S.L.;
    • attivare o potenziare i servizi di Assistenza domiciliare integrata (ADI) in modo da assistere, entro il 1996, almeno il 2% degli anziani ultrasessantacinquenni non ospita­ti in RSA, che siano non autosufficienti, parzialmente autosufficienti o a grave rischio di invalidità;
    • attivare in via sperimentale, e gradualmente, la Spedalizzazione domiciliare nel 10% dei casi spedalizzabili a regime;
    • attivare centri diurni di riabilitazione.
  2. Interventi di carattere generale per gli anziani ultrasessantacinquenni:
    • promuovere a livello nazionale e regionale, mediante apposite iniziative e procedure di carattere legislativo, misure atte a favorire la permanenza degli anziani in famiglia;
    • promuovere, con l’adozione delle più opportune iniziative legislative, misure particolari in favore delle famiglie con presenza di anziani non autosufficienti che vengono trattenuti in famiglia benché posseggano i requisiti per l’accoglimento in RSA;
    • attivare misure di controllo sulla qualità della vita degli anziani istituzionalizzati;
    • promuovere la nomina di un tutore esterno, a garanzia della gestione dei beni dell’anziano istituzionalizzato;
    • adottare sistemi nazionali uniformi per la valutazione del grado di autosufficienza degli anziani, nonché altri modelli di analisi dei bisogni e delle risposte più opportune di tipo sanitario e socio-assistenziale;
    • attivare osservatori permanenti esterni al S.S.N. su aspetti funzionali, economici e di qualità dell’assistenza erogata agli anziani, con l’obbligo di produrre annualmente un rapporto

Ad integrazione di quanto sopra riportato, si ritiene opportuno indicare l’importanza di alcune aree di inter­vento:

    • formazione degli operatori a vari livelli, con particolare riferimento alle proble­matiche dell’anziano cronico e/o non autosufficiente. Da questo punto di vista è estremamente rilevante la diffusione di una cultura che sappia motivare gli addetti a valorizzare le potenzialità residue;
    • interventi curativi e riabilitativi domiciliari, in regime di day-hospital o presso centri diurni. Gli anziani ammalati, compresi quelli colpiti da cronicità e da non autosufficienza, devono essere curati senza limiti di durata nelle sedi più opportune, ricordando che la valorizzazione del domicilio come luogo primario delle cure costi­tuisce non solo una scelta umanamente significativa, ma soprattutto una modalità terapeutica spesso irrinunciabile;
    • creazione di reti di servizi tra loro fortemente integrati,afferenti al sistema sanitario e a quello socio-assistenziale, in grado di assumere, anche mediante l’uso delle più moderne tecnologie, la responsabilità di gestire i problemi dell’anziano fragile, sotto il coordinamento delle unità di valutazione geriatrica.

Lo strumento per raggiungere gli obiettivi è la “Rete” dei servizi, “Rete” che deve essere vista come un insieme di organizzazioni che affrontano ciascuna aree particolari di un unico problema complesso, collegate da rapporti di collaborazione, appositamente progettati e strutturati.
Il benessere della popolazione anziana, e in particolare degli anziani non autonomi, dipende quindi dal coordinamento di una molteplicità di interventi erogati da varie professionalità che fanno capo a diversi soggetti istituzionali come strutture sanitarie del Sistema Sanitario Nazionale, Comuni e Case di riposo.

I SERVIZI SOCIALI AGLI ANZIANI

Uno dei servizi fondamentali agli anziani è l’ assistenza domiciliare.
Il generico termine di “assistenza domiciliare”ricomprende un’ampia gamma di servi­zi di assistenza professionale e non professionale, assicurati presso il domicilio dell’u­tente, la cui qualità e durata variano enormemente.
Tale servizio, gestito in genere dai Comuni, eroga prestazioni di cura della persona e di aiuto domestico, a cui si possono eventualmente aggiungere anche le seguenti prestazioni:

    • somministrazioni dei pasti a domicilio;
    • servizio di lavanderia a domicilio;
    • disbrigo di commissioni e collegamento con altri servizi del quartiere.

 

Il servizio di assistenza domiciliare è indirizzato verso quegli anziani che, per il loro grado di non autosufficienza o di ridotta autosufficienza fisica o per scarsa capacità organizzativa rispetto alla gestione della casa, o per la loro situazione di solitudine e isolamento anche psicologico, avrebbero difficoltà a permanere nel proprio nucleo familiare o abitativo senza aiuto.
L’accesso all’assistenza domiciliare, in genere, viene stabilito dagli uffici sociali comunali sulla base della condizione funzionale, familiare ed economica dell’anziano.
Il servizio prevede un’organizzazione per l’erogazione di prestazioni (alzata, igiene personale, vestizione, aiuto nei pasti, mobilizzazione, pulizia della casa, ecc.) di durata oraria limitata, che siano di supporto in specifici momenti critici della giornata o di funzioni domestiche.
Il personale impegnato in tale servizio è costituito prevalentemente da operatori socio-assistenziali, eccezion fatta per le eventuali prestazioni di tipo specialistico.
Il numero medio di ore erogate settimanalmente ad ogni utente pare sia di poco superiore a 3, con grande variabilità da Comune a Comune e da Regione a Regione.
L’assistenza domiciliare è un servizio essenzialmente feriale e diurno.
La titolarità del servizio è quasi sempre pubblica, ma la gestione è quasi sempre esternalizzata e affidata in particolare a cooperative sociali.
In un numero significativo di casi esiste un protocollo di intesa fra i Comuni e le ASL per la gestione integrata dell’assistenza domiciliare (ADI), ma i casi realmente gestiti in modo integrato continuano a rimanere assai pochi.
L’Assistenza Domiciliare Integrata è il fulcro dell’attività territoriale, lo strumento operativo più efficiente per il mantenimento a domicilio di quelle situazioni a rischio che portano al ricovero improprio ed al grave calo della qualità di vita della persona anziana.
Infatti l’assistenza di anziani con elevati livelli di non autosufficienza richiede anche un intervento sanitario e l’integrazione di questo con quello socio-assistenziale.
L’ADI utilizzerà, tenendo conto delle disponibilità territoriali, le risorse dei vari enti secondo programmi stabiliti dalle Unità valutative geriatriche.
L’ADI in particolare è costituita da un complesso di prestazioni mediche, infermieri­stiche, riabilitative, socio assistenziali, rese al domicilio dell’assistito, nel rispetto di standard minimi di prestazioni in forma integrata e secondo piani individuali programmati di assistenza, definiti con la partecipazione delle figure professionali interessate al singolo caso.
Il personale impegnato è costituito da operatori socio-sanitari, infermieri, medici, terapisti della riabilitazione, a seconda del tipo di prestazione necessaria.
Di fondamentale importanza nell’ADI sono il coinvolgimento dei familiari, del vicinato e del volontariato.
Altri servizi sociali intermedi previsti dalle leggi nazionali e regionali vigenti sono:

  1. il Centro Diurno, socio-ricreativo, aperto in genere tutti i pomeriggi e auto-gestito dagli stessi anziani;
  2. il Centro diurno socio-assistenziale, per anziani parzialmente non autosufficienti;
  3. il Servizio Trasporto Anziani;
  4. il servizio pasti caldi a domicilio, in taluni Comuni attivato attraverso la ditta di ristorazione che gestisce la mensa della scuola materna e consegnati con un mezzo idoneo comunale, grazie alla collaborazione dei volontari dell’associazione convenzionata;
  5. i soggiorni climatici, con proposte nelle tre località di mare, terme e montagna;
  6. il servizio del Telesoccorso per gli anziani soli.

 

Al di là della consistenza numerica e della ricchezza della diversificazione di tali servizi, ciò che conta è soprattutto la logica del loro coordinamento che sola permette l’indispensabile ottimizzazione delle risorse economiche disponibili.
Naturalmente esistono differenze enormi da regione a regione relativamente al numero, alla tipologia e all’efficienza dei servizi esistenti.

Il Centro Diurno è una struttura che accoglie vari servizi aperti alla comunità. In esso si organizzano molteplici attività e si configura come luogo di attrazione, di incontro, di vita di relazione, nonché di erogazione di eventuali prestazioni che rispondano a specifici bisogni dell’utenza (anche di natura sanitaria, nel caso di centro diurno protetto).
Il centro diurno tende ad offrire attrezzature adatte a sopperire alle varie carenze dell’ambiente familiare, quindi esplica una funzione integrativa e di sostegno, favorendo, così, la permanenza dell’anziano nella propria abitazione.
Il centro diurno, per essere tale, deve rimanere aperto almeno 7 ore giornaliere; inoltre deve essere localizzato preferibilmente a livello di quartiere e/o di distretto socio-sanitario, accessibile e raggiungibile e non isolato.
Le attività del centro consistono in:

  1. cineforum;
  2. attività musicali ed artigianali;
  3. attività ludico-ricreative, come gioco a carte o feste da ballo;
  4. organizzazione di gite e visite guidate;
  5. attività sportive.

I coordinatori di tale servizio sono in genere assistenti sociali collaborati da animatori socio-culturali, operatori socio-sanitari e ausiliari.

IL PIANO ASSISTENZIALE INDIVIDUALIZZATO E METODOLOGIA D’INTERVENTO

La capacità di personalizzare l’assistenza, riconoscendo l’originalità di ogni persona anziana, portatrice di bisogni ma anche di risorse, a cui rivolgersi con un approccio globale, si traduce nella definizione di un Piano di Assistenza Individualizzato (PAI).
Parlare di Piano Assistenziale Individualizzato significa parlare di un’assistenza professionale basata sulla capacità di progettare e programmare.
La metodologia di lavoro utilizzata dal gruppo multidisciplinare è, dunque, quella per progetti:
riceve la domanda;

  1. analizza la domanda;
  2. valuta il soggetto in modo multidimensionale;
  3. esamina e/o redige il Progetto Assistenziale Individualizzato (PAI);
  4. segue l’esecuzione del progetto;
  5. verifica l’attuazione dei programmi terapeutici ed i risultati a distanza.

Il lavoro per progetti, i P.A.I., la valutazione e la progettazione di tipo multidiscipli­nare hanno cambiato, di fatto, il volto ed i connotati all’assistenza e l’efficacia di que­sti processi trova la propria ragione d’essere nelle possibilità di coinvolgimento e di interazione di tutte le figure che partecipano attivamente all’attuazione degli obiettivi di servizio.
L’operatore socio-sanitario ha un ruolo attivo nella ideazione, nell’elaborazione e nel­la realizzazione del progetto.
I momenti della programmazione sono:

  1. analisi dei modelli di lavoro;
  2. osservazione;
  3. esplicitazione dei metodi e degli obiettivi;
  4. valutazione e verifica.

1. Analisi dei modelli di lavoro
L’operatore agisce in considerazione delle convinzioni individuali, dei modelli teorici e disciplinari cui si riferisce, in base alla sua formazione.

2. Osservazione
L’osservazione quotidiana e continuativa dello stato complessivo dell’ospite e la trasmissione delle informazioni ai colleghi, agli infermieri e alle altre figure tecniche, compreso il medico.
L’osservazione ha bisogno di strumenti, ad esempio di registrazioni, di diari, di schede, di cartelle.
Quando si osserva bisogna tenere conto del contesto.
L’osservazione praticata dall’operatore si cala nel quotidiano ed avviene duran­te i gesti assistenziali entro cui si realizzano delle relazioni: è un’osservazione partecipante.
L’operatore assistenziale utilizza griglie di osservazione elaborate nel contesto di lavoro, con una forte caratterizzazione operativa: si osservano e si valutano comportamenti significativi dal punto di vista funzionale:
1. autonomie di vita quotidiana
2. abilità strumentali
3. abilità sociali
4. capacità cognitive.
Segue la lettura dei bisogni, nel senso di individuare i punti problematici in cui occorre un intervento, nonché i punti di forza, le risorse della persona che per­mettono di ipotizzare un cambiamento possibile.

3. Metodi ed obiettivi
Occorre definire degli obiettivi in modo chiaro e preciso, dando delle indicazioni di metodo, cioè sul come fare per raggiungerli.
Si definisce un piano operativo, individuando le risorse disponibili, sia quelle materiali (strumenti, tecniche, spazi, tempo, denaro) che quelle umane (opera­tori, volontari, utenti), le azioni concrete da compiere e i tempi di attuazione.

4. Valutazione e verifica
Valutare significa prendere in esame il percorso seguito e il grado di raggiungi­mento degli obiettivi da un punto di vista qualitativo e quantitativo.
Questo serve per poter proseguire il lavoro traendo elementi di consapevolezza che consentono di rilanciare nuovi obiettivi.

Lavorare con metodo

L’ operatore socio-sanitario non opera in maniera casuale, approssimativa, ma in maniera professionale, cioè realizzando un intervento programmato e finalizzato a specifici obiettivi, utilizzando modi e strumenti adeguati.
Il lavoro assistenziale richiede una specifica competenza tecnica riguardo allo svolgi­mento corretto delle prestazioni nell’assistenza alla persona ( dalla esecuzione dell’i­giene personale all’aiuto nella deambulazione, dalla prevenzione delle sindromi da immobilizzazione all’assistenza nell’alimentazione, ecc.)
Ma la competenza tecnica non è sufficiente a garantire l’efficacia degli interventi assistenziali.
Altri fattori rilevanti sono:

    • la capacità di lavorare insieme agli altri operatori e alle diverse figure professiona­li;
    • la consapevolezza del contesto istituzionale nel quale si opera, cioè la conoscenza dei ruoli e delle finalità delle diverse posizioni;
    • la sensibilità nel qualificare positivamente la relazione con l’ospite.

 

LE STRUTTURE RESIDENZIALI

Cercheremo di passare brevemente in rassegna le varie tipologie di strutture residen­ziali che attualmente si possono rinvenire nel panorama assistenziale italiano.
Tale rassegna non sarà esaustiva né sotto il profilo dell’elencazione, né sotto il profilo delle caratteristiche. Soprattutto sotto il secondo profilo non è possibile l’esaustività perché le caratteristiche particolari variano significativamente a seconda dei vari contesti regionali.
Si cercherà, tipologia per tipologia, di illustrare le caratteristiche essenziali dell’uten­za e le caratteristiche essenziali della filosofia assistenziale che sottende a ciascuna.

Casa di riposo per autosufficienti

L’utenza si caratterizza per avere una sostanziale autosufficienza di tipo fisico.
Sotto il profilo della filosofia assistenziale sottostante, va chiarito che tale tipo di struttura, nell’ottica di un panorama dei servizi sociali che si evolve nel senso della diversificazione dei servizi, la casa di riposo per autosufficienti rischia di diventare un anacronismo storico perpetuando il “custodialismo” e “l’istituzionalizzazione” sistematica che caratterizzava l’assistenza alcuni decenni orsono. E’ chiaro peraltro
che tali strutture tuttora esistono, ed è sperabile che la relativa organizzazione si caratterizzi e si situi a livelli qualitativi dignitosi, ma è decisamente auspicabile che lascino al più presto il posto ad altri servizi forniti dal territorio, così come stabilito dalla normativa in vigore.

Comunità alloggio

Le comunità alloggio sono appartamenti dove vivono insieme un piccolo numero di persone anziane che non hanno la possibilità di rimanere nel proprio domicilio per motivi di carattere economico-familiare-alloggiativo. Possono avere funzioni di pronto intervento oppure di permanenza prolungata a secondo dei casi; devono inoltre essere ubicate in zone del territorio cittadino in modo da consentire l’effettiva parteci­pazione alla vita sociale, con lo scopo di evitare qualsiasi forma di emarginazione.
In ogni comunità sono previsti un operatore con funzione di responsabile della con­duzione della comunità stessa, una cuoca e degli operatori sociali.

Casa di riposo per non autosufficienti

A differenza della precedente l’utenza si caratterizza per la sua non autosufficienza, che non necessariamente si concretizza in una non autosufficienza fisica ma ben può configurarsi con altre caratteristiche.
Tale tipologia di struttura, si differenzia dalle residenze sanitarie assistite di cui si parlerà in seguito, non tanto per il tipo di utenza, che è la stessa, quanto per la man­canza di alcuni requisiti strutturali e gestionali. Sulla scorta di tale argomento si ritie­ne pertanto che anche tale tipologia di struttura debba pian piano scomparire. Se la risposta residenziale deve essere l’ultima risposta dopo avere seriamente verificato che gli altri servizi sul territorio non riescono a gestire il sovraccarico assistenziale presentato dal caso concreto, non si può poi ovviamente pensare che esistano residen­ze di serie A e altre di serie B.
Queste considerazioni che sono evidenti sul piano teorico purtroppo dovranno fare i conti con un piano di realtà sicuramente diverso. La realtà infatti è caratterizzata da situazioni in cui molto difficilmente si riesce a costruire una rete di servizi completa e pertanto si continuerà in tal modo a provocare una domanda di residenzialità per molti versi impropria.
E’ chiaro peraltro che comunque la filosofia organizzativa di tali strutture non dovrà discostarsi da quelli che sono i canoni ormai definitivamente consacrati nella norma­tiva e che caratterizzano precipuamente le RSA.

Residenze Sanitarie Assistite

La normativa sulle RSA è contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 dicembre 1989.
Caratteristiche essenziali di tali strutture dovranno essere il loro inserimento nella rete dei servizi e l’approccio globale all’anziano.
Le RSA non devono nascere come contenitori vuoti da riempire con anziani non più “curabili” in ospedale, ma devono rappresentare un percorso riabilitativo per un’azio­ne specifica in fase di disabilità e dipendenza (accoglienza temporanea).
Al centro di questa cultura deve posizionarsi non la “malattia” ma l’autonomia della persona ed il recupero della stessa.
Esistono diversi tipi di RSA.
Nella RSA di base l’utenza si caratterizzerà per compromissioni, fisiche o psichiche, estremamente significative che non permettono di pensare a forme di assistenza non residenziali.
E’ chiaro che la capacità di approccio globale, comunque richiesto anche alle altre tipologie di RSA, fonda la professionalità specifica di tale organizzazione. L’efficacia di tale tipo di RSA non potrà infatti misurarsi tangibilmente sulla capacità di riconse­gnare al territorio le persone, ma risiederà essenzialmente sulla capacità, difficilmente commensurabile, di aiutare le persone a vivere un senso per la propria situazione di sofferenza e disabilità.

Il modello organizzativo della RSA deve essere impostato in maniera nettamente diversa sia dal modello ospedaliero che dal modello della casa di riposo.
L’obiettivo è infatti quello di organizzare ogni singolo nucleo in funzione delle carat­teristiche degli ospiti improntando in tal senso l’organico sia in termini numerici che professionali.
Le attività all’interno della RSA si dovranno articolare secondo una successione di scadenze finalizzate ad assecondare e rispettare i ritmi ed i tempi quotidiani degli ospiti orientando in tal senso gli interventi e le prestazioni del personale.
Fondamentale all’interno della RSA sarà poi la metodologia operativa che dovrà essere strutturata per obiettivi e per progetti con verifiche frequenti.
Per il perseguimento degli obiettivi sarà inoltre necessario attivare all’interno della RSA apposite unità operative interne con le seguenti finalità:
1) visita domiciliare di pre-ingresso;
2) valutazione multidimensionale;
3) individuazione degli obiettivi;
4) programmazione degli interventi ( chi, come, quando);
5) individuazione “case manager”;
6) coinvolgimento operatori, volontari, familiari, medico di base, anziani, ecc.;
7) verifica dell’efficacia delle prestazioni.

L’organizzazione deve consentire di sviluppare programmi terapeutico riabilitativi mirati che, oltre a determinare benefici all’ospite, delineano anche un percorso pro­gettuale per gli operatori di base prevenendo o riducendo gli effetti determinati dal “burn out”.

L’ ASSISTENZA RESIDENZIALE

Competenze ed interventi

L’operatore socio-sanitario dei servizi residenziali alla persona è la figura sulla quale ricadono tutte le attività di assistenza diretta all’anziano e al suo ambiente di vita, in ambito sociale e sanitario, svolgendo le sue attività in collaborazione con gli altri operatori professionali preposti all’assistenza sanitaria e a quella sociale, secondo il criterio del lavoro multiprofessionale.
L’operatore deve essere in grado di interagire con le altre figure professionali, dimo­strando capacità di osservazione, monitoraggio e verifica degli interventi effettuati per l’ospite, in relazione agli obiettivi individuali specifici ed in una logica di qualità multidimensionale, sia percepita che offerta.
In tutte le relazioni d’aiuto c’è uno spazio riservato allo stile interpretativo di ogni operatore che conta molto più della consegna meramente eseguita.
Le motivazioni al lavoro sociale affondano le radici più forti nella possibilità di prendere coscienza e di maturare questo stile interpretativo in modo originale, oltre che fedele, chiamando all’appello la propria sensibilità e le proprie risorse personali.
In questa prospettiva la presenza dell’operatore socio-sanitario ha acquisito un ruolo specifico, nei compiti di osservazione e di cura, potendo contare su una dimensione spazio-temporale di vicinanza all’utente considerevolmente maggiore rispetto ad altre figure professionali.
Le competenze di un operatore assistenziale si sviluppano all’interno di due grandi aree, quella di aiuto e rapporto con la persona anziana e i suoi familiari e quella d’intervento sull’ambiente di vita.
L’assistenza ad un ospite anziano e/o disabile, all’interno di una comunità residenziale a carattere socio-assistenziale e sanitario, non consiste in un insieme di prestazioni tecniche, ma ha come supporto una relazione che rispetti e valorizzi la sua personali­tà.
Entrare nel suo mondo significa non limitare il proprio lavoro all’aiuto materiale, ma instaurare un rapporto di reciprocità e coinvolgimento negli atti quotidiani.
Per esempio, occorre porre particolare attenzione all’aspetto dell’alimentazione.
L’operatore socio-sanitario deve porsi come obiettivo assistenziale il soddisfacimen­to delle necessità nutrizionali dell’anziano, come il bisogno primario di alimentarsi e idratarsi adeguatamente, ma anche il soddisfacimento del bisogno secondario psico-affettivo che circonda il cibo.
Il pasto dovrà essere adeguato ai gusti dell’ospite ed egli stesso coinvolto attivamente, ove possibile, nella scelta degli alimenti graditi.
Con l’ospite si potrà impostare un lavoro di informazione ed educazione alimentare, solo in questo modo si otterrà l’inserimento ottimale dell’anziano nella struttura ed egli stesso sarà gratificato dalla cura e dall’attenzione che viene prestata alla sua alimentazione e al suo benessere.
Spesso si possono incontrare ostacoli fisici che impediscono all’anziano di consumare un pasto gradevole e in totale armonia, come ad esempio la difficoltà a raggiungere la sala da pranzo, un ambiente sgradevole o poco igienico, orari dei pasti inadeguati, menù senza possibilità di scelta, distribuzione del vitto frettolosa, modi scortesi o impersonali da parte del personale.
Tutti questi fattori creano un disagio psicologico che può e deve essere evitato.
L’anziano stesso può avere cattive abitudini alimentari instaurate da tempo e non tollerare le innovazioni.
Il momento del pasto può diventare un’occasione di ascolto dell’anziano, anche attraverso la comunicazione non verbale, mimica, gestuale, osservando e rispettando i suoi tempi, allo scopo di conoscere la persona anche attraverso il cibo che le viene offerto, per ricercare migliori soluzioni assistenziali ai suoi bisogni.
L’operatore di assistenza infatti è anche colui che si preoccupa di sapere “chi è” la persona che gli sta davanti, quale sia la sua storia individuale e familiare, la sua condizione affettiva, relazionale, psicologica, fisica, patologica.
I compiti di cura richiedono la capacità di osservare ed ascoltare i bisogni della persona che ci sta di fronte, la prontezza di “decifrare” segnali poco chiari o inespressi.
Il ruolo dell’operatore d’assistenza è spesso in bilico tra la necessità di intervenire, a fronte di un imprevisto bisogno, con propria iniziativa, con capacità auto-organizza­tiva; per quanto concerne le mansioni, invece, all’operatore viene chiesta una buona capacità esecutiva, dove i compiti sono stabiliti soprattutto da altri. Ciò significa saper essere sia esecutore sia capace di organizzazione personale.
E’ un lavoro in cui difficilmente si è soli, anche se può verificarsi anche questo.
Appare chiaro quanto sia importante saper fare un buon “gioco di squadra” affinché ogni professionalità, secondo compiti e mansioni diverse, possa dare il proprio contri­buto al fine di raggiungere gli obiettivi di qualità di vita per gli anziani ospiti.
E’ altrettanto evidente che ogni operatore deve saper gestire la propria autonomia, assumendosi in prima persona la responsabilità delle scelte operative.
Nel gruppo di lavoro ognuno ha un proprio ruolo che si definisce al di là dei compiti istituzionali e al di là della posizione nella scala gerarchica.
Il ruolo ha a che fare con le attitudini, con il carattere, con le aspettative degli altri.
Il ruolo di ognuno può diventare una risorsa importante per tutto il gruppo. Per un operatore assistenziale è quindi necessario saper riconoscere, gestire, implementare il proprio ruolo, alle volte dandogli anche una definizione: può essere di “primo piano” come di “suggeritore dietro le quinte”, come di “conciliatore”.
Di vitale importanza è la capacità di capire e distinguere quando è il momento di fare appello alla razionalità che appartiene alla sfera professionale e quando invece ci sta la persona con i suoi sentimenti da comprendere. E’ la capacità di trovare equilibrio tra “empatia” e “distacco”.
Tali compiti sono ancora più delicati nel caso in cui l’anziano ospite sia affetto da demenza.
Nel demente troviamo le seguenti caratteristiche: la perdita del rapporto sociale, un comportamento aggressivo, disturbi funzionali, cognitivi, comportamentali. E’ per tali motivi che l’anziano demente ha bisogno di soggiornare in un ambiente appositamen­te strutturato in modo tale da essere sicuro, personalizzato, ricco di stimoli. L’organizzazione del lavoro all’interno deve essere flessibile, con un numero maggio­re di personale e con un gruppo di lavoro preparato ad effettuare programmi funzio­nali.
Il demente deve usufruire di un trattamento multidimensionale e multidisciplinare a lungo termine.
Ogni anziano demente deve avere un piano di assistenza individualizzato che viene formulato nell’ambito della Unità operativa interna dalle varie figure professionali in base alla valutazione dei bisogni di ciascuno rilevati dall’osservazione diretta e dalla valutazione multidimensionale.
L’operatore deve contribuire a creare un ambiente sicuro, personalizzato, ricco di stimoli, con l’adeguata preparazione deve realizzare interventi per rallentare il processo di deterioramento, per mantenere e migliorare le abilità di vita.
Sul singolo demente si mira al raggiungimento di alcuni obiettivi individuali prestabiliti che sono:
la cura della persona, l’autonomia negli atti di vita quotidiana, il controllo degli aspetti comportamentali disturbanti, la cura dello spazio vitale (rivalutazione degli interessi precedenti il ricovero, legati agli hobbies, al lavoro passato ed alla capacità residua).
L’organizzazione del lavoro deve essere improntata sulla riabilitazione del demente, intesa come gestione del cambiamento, stimolazione della capacità funzionale residua.
Alcuni programmi di riabilitazione e socializzazione possono essere:
orientamento, attività motoria, ballo, lettura del giornale, stimolazione cognitiva e della memoria, attività occupazionali varie, musicoterapia, attività ludico-ricreative.
Tutti questi programmi vengono svolti dall’operatore con la supervisione del profes­sionista interessato.
Al demente vanno chieste cose semplici, quando è disorientato vengono forniti con calma i punti di riferimento.
L’operatore deve saper usare la comunicazione non verbale, avere un atteggiamento disteso, sorridere e non rifiutare il contatto fisico.
Ogni anziano demente è una persona a sé e va trattato individualmente, da adulto, con dignità e rispetto.

Funzioni ed interventi gestionali e d’animazione
Nell’organizzazione della giornata di una struttura residenziale deve essere prevista un’accentuata attività a tutti i livelli nelle fasce orarie comprese tra le ore 9/12 e 15,30/19.
In detti ambiti le varie figure professionali attiveranno programmi di recupero personalizzati o di gruppo. Detti programmi dovranno essere continuamente verificati e aggiornati.
Gli operatori, di qualsiasi professionalità, che intervengono nei vari progetti devono avere ben presente i ruoli e le competenze loro assegnate.

In termini operativi, è necessario enucleare le funzioni e gli interventi da attuare nelle strutture residenziali:

1) Aiutare la persona nelle attività quotidiane favorendone l’autosufficienza e l’autonomia;

    • aiutare la persona nella cura di se stessa (pulizia personale, vestizione,…);
    • aiutare la persona nell’assunzione dei pasti;
    • aiutare la persona nella deambulazione, nel corretto movimento di arti invalidi e nella giusta posizione degli arti in condizioni di riposo;
    • consigliare e aiutare nel corretto uso di accorgimenti e ausili per l’autonomia;
    • prestare aiuto nel riordino del letto, della stanza e dell’alloggio;
    • curare il cambio e la pulizia della biancheria;
    • aiutare la persona nella preparazione dei pasti o, eventualmente, fornire i pasti preparati;
    • accompagnare la persona (a visite mediche, per disbrigo pratiche, per altre necessità);
    • stimolare e sostenere la persona sul piano del rapporto umano, amicale.

2) Fornire alla persona assistenza igienico-sanitaria;

    • offrire prestazioni igienico-sanitarie di semplice attuazione;
    • mobilizzare la persona costretta a letto;
    • praticare semplici interventi di pronto soccorso;
    • fornire informazioni ai responsabili sanitari sulle condizioni di salute dell’utente.

3) Curare le condizioni igieniche ed il governo dell’ambiente (alloggio privato, spazi collettivi);

    • riordinare il letto e la stanza;
    • effettuare interventi di pulizia di ambienti privati e collettivi;
    • verificare l’esistenza di idonei condizioni igieniche negli alloggi privati e negli ambienti collettivi.

 4) Collaborare nelle prestazioni di segretario sociale e di educazione sanitaria;

    • fornire informazioni agli utenti ed alle loro famiglie sui loro diritti, sui servizi a disposizione, sulle pratiche necessarie, ecc.;
    • fornire informazioni agli utenti ed alle loro famiglie su aspetti di educazione sanitaria;
    • svolgere piccole commissioni.

5) Contribuire alla gestione del servizio ed alle attività di programmazione;

    • contribuire all’individuazione dei bisogni degli utenti e alla definizione di piani di intervento individualizzati partecipare alla programmazione delle attività;
    • partecipare alla verifica del lavoro svolto;
    • utilizzare strumenti per documentare il servizio svolto.

6) Attuare interventi volti a favorire la vita di relazione della persona in un’ottica di servizio sociale di rete;

    • coinvolgere parenti, vicini, volontari;
    • rapportarsi con le strutture ricreative e culturali del territorio;
    • partecipare agli interventi di socializzazione e/o di recupero che impegnano l’utente.

7) Concorrere all’attuazione di interventi di tipo riabilitativo o terapeutico predisposti dai competenti organi sanitari.

Dott.ssa Maria Angela Valenti

Assistente Sociale Specialista


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