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Possibile richiedere un aggravamento di una rendita per malattia professionale anche oltre il quindicennio se perdura l’esposizione alla lavorazione morbigena configurandola come richiesta di nuova malattia professionale.

CORTE DI CASSAZIONE – Sezione lavoro – sentenza n. 5548 depositata in data 9 marzo 2011 –
Omissis
Con ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale di Brescia, Z. V., premesso che dal 1970 aveva sempre lavorato nelle cave di marmo e che l’8 settembre 2004 era stato riscontrato affetto dall’Istituto di Medicina legale da una ipoacusia di origine professionale in misura superiore al minimo indennizzabile, chiedeva la condanna dell’INAIL al pagamento delle relative prestazioni.
Si costituiva l’Istituto sostenendo che dal 1980 lo Z. era stato titolare di rendita da ipoacusia professionale, prestazione che il 17.10.1996 era stata soppressa dall’INAIL per revisione, essendo risultata solo pari al 2%: ne conseguiva che la successiva istanza non poteva in nessun modo considerarsi nuova, essendo, in realtà, solo la proposizione di una domanda di aggravamento ormai inammissibile per decorso del termine massimo di consolidamento (art. 137 T.U.).
Il Tribunale, accogliendo la tesi dell’Istituto, rigettava il ricorso.
Proponeva appello lo Z. sostenendo l’assoluta incongruità della tesi che non consentirebbe di tener conto dei successivi aggravamenti in casi, come quelli in oggetto, di lavoratori  ulteriormente esposti, ben dopo il quindicennio, al rischio morbigeno.
Si costituiva l’Istituto ribadendo le proprie tesi e chiedendo la conferma della impugnata decisione.
Con sentenza del 30 novembre 2006-16 marzo 2007, l’adita Corte di Appello di Brescia rigettava l’impugnazione.
A sostegno della decisione osservava che l’assicurato poteva far valere il suo diritto chiedendo la revisione entro il termine di 15 anni dalla costituzione della rendita, ma, nel caso di specie, aveva fatto scadere detto termine senza nulla fare e, quindi, si era avuta una stabilizzazione della malattia, che, in base alla scienza medica, si verificava nella quasi titolarità dei casi, per cui tale presunzione giustificava come per la stessa malattia non si potesse, da parte dell’assicurato, procedere con una nuova domanda.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’assicurato con un unico motivo.
Resiste l’INAIL con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico, articolato motivo di ricorso lo Z., denunciando, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 1, 3, 4, 66, 74, 83 e 137, e artt. 3 e 38 Cost., nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamenta che la Corte d’appello di Brescia abbia disconosciuto il proprio diritto alla rendita da ipoacusia professionale per decorso del termine massimo di consolidamento, trascurando di considerare – come chiaramente esposto in ricorso – che era stato fatto valere non un (inesistente) aggravamento verificatosi entro il quindicennio maturato con la revoca della rendita del 1997, ma l’aggravamento verificatosi nel periodo successivo fino al 2004 ed oltre, data la continuazione in atto della attivita’ morbigena.
Lamenta, quindi, il ricorrente, che erroneamente la Corte territoriale abbia affermato che la nuova domanda non potesse essere considerata domanda nuova, non dando rilevanza alla circostanza che l’attivita’ lavorativa in ambiente morbigeno si era svolta oltre il quindicennio.
Il motivo è fondato.
Osserva il Collegio che, pur essendo esatto quanto la Corte di Brescia ha ricordato, secondo cui il termine del quindicennio corrisponde al principio della stabilizzazione dei postumi basato sulle acquisizioni, della scienza medica, per cui si presume che oltre quel termine la tecnopatia non evolva ne’ in melius ne’ in peius, proprio ciò impone di considerare se la presunzione iuris et de iure di stabilizzazione dei postumi, di cui all’art. 137, e, quindi, il limite temporale della rilevanza delle variazioni delle
condizioni fisiche dell’assicurato, valga anche nel caso in cui, non mutando le condizioni ambientali, i tempi e le modalita’ di svolgimento della prestazione lavorativa, l’aggravamento della malattia professionale dipenda dal protrarsi dell’esposizione al rischio morbigeno.
L’Istituto assicuratore – avallando l’assunto del Giudice a quo, sostiene la tesi positiva, affermando che la scelta del legislatore e’ fondata su rilievi di natura sanitaria e statistico-epidemiologica che dimostrano come, nel maggior numero dei casi, una patologia manifestatasi con una incidenza tale da determinare il superamento
della soglia minima indennizzabile in rendita esaurisca il suo processo evolutivo nell’arco di 15 anni.
Ritiene il Collegio che, in siffatte situazioni, l’aspetto che viene in considerazione non concerne l’evoluzione della patologia, causata dal fattore morbigeno accertato e valutato dall’Istituto assicuratore, ma la concorrenza con il primo di altro fattore costituito dalla prosecuzione dell’esposizione lavorativa al medesimo rischio morbigeno. Pertanto, la fattispecie deve ritenersi estranea all’ipotesi di cui all’art. 137 cit..
Tale interpretazione trova il conforto della Corte costituzionale che, con la recente sentenza n. 46/2010, ha dichiarato la infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 80 e 131, sollevata per asserita violazione dei principi dettati dagli artt. 3, 32 e 38 Cost..

Ha osservato, in proposito, la Corte che le due norme, riferendosi all’ipotesi di “nuova” malattia professionale, devono essere interpretate nel senso che esse riguardano anche il caso in cui, dopo la costituzione di una rendita per una determinata malattia professionale (“vecchia”, quindi, in contrapposizione alla “nuova”), il protrarsi dell’esposizione al medesimo rischio patogeno determini una “nuova” inabilita’ che risulti superiore a quella già riconosciuta. Tale interpretazione delle norme sopracitate non fa ricadere l’ipotesi cosi’ delineata nell’ambito di applicabilita’ del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 137, il quale si riferisce esclusivamente all’aggravamento eventuale e consequenziale dell’inabilita’ derivante dalla naturale evoluzione della originaria malattia. Quando, invece, il maggior grado di inabilità dipende dalla protrazione dell’esposizione a rischio patogeno, e si e’ quindi in presenza di una “nuova” malattia, seppure della stessa natura della prima, la disciplina applicabile è quella dettata dall’art. 80, estesa alle malattie professionali dall’art. 131.
Per quanto esposto, il ricorso va accolto.
Conseguentemente l’impugnata sentenza va cassata con rinvio ad altra Corte d’appello, designata come da dispositivo, la quale si atterrà, nella decisione, all’enunciato principio di diritto, provvedendo anche alla regolazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Milano.
Omissis



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