Vai al contenuto

SENTENZA N. 107, Anno 2012

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Alfonso QUARANTA;

Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), promosso dal Tribunale ordinario di Ancona, nel procedimento vertente tra C. P. e L. E., nella qualità di genitori di L.G., e il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e la Regione Marche, con ordinanza del 21 dicembre 2010, iscritta al n. 214 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2012 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto in fatto

1.— Con ordinanza del 21 dicembre 2010, il Tribunale ordinario di Ancona ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), «nella parte in cui non prevede che il diritto all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge ed alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subìto lesioni e/o infermità, da cui siano derivati danni irreversibili all’integrità psico-fisica, per essersi sottoposti a vaccinazione, non obbligatoria ma raccomandata, contro il morbillo, la rosolia e la parotite».

Premette il giudice a quo di essere stato investito, quale giudice del lavoro, da un ricorso − per ottenere l’indennizzo previsto dalla disposizione denunciata − proposto dai genitori di una minore la quale, a seguito di vaccinazione contro morbillo, rosolia e parotite (MPR; vaccino “Morupar”, poi ritirato dal commercio, appena pochi giorni dopo la somministrazione, nella vicenda di cui è causa), aveva riportato − secondo quanto accertato all’esito di C.T.U. − una necrolisi epidermica tossica con trombosi venosa della femorale iliaca sx, con postumi («esiti di intervento di drenaggio di ascesso in fossa iliaca – regione inguinale sx in quadro di infezione delle pelvi con linfadenite reattiva secondaria ad artrite settica con persistenza di ostruzione della vena femorale comune ed iliaca, estrinsecantesi con edema dell’arto inferiore sx rispetto al controlaterale dx con plus di cm 2 alla coscia alla sura che si estende al piede») ritenuti ascrivibili alla VII categoria della tabella A annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834 (Definitivo riordinamento delle pensioni di guerra, in attuazione della delega prevista dall’art. 1 della legge 23 settembre 1981, n. 533).

Rileva, al riguardo, il giudice rimettente che la domanda proposta dalla parte ricorrente non può trovare accoglimento alla luce del quadro normativo vigente, dal momento che, pur tenendo conto delle decisioni di illegittimità costituzionale di cui alle sentenze n. 27 del 1998 e n. 423 del 2000 − con le quali venne esteso il diritto all’indennizzo per quanti si fossero sottoposti a vaccinazione antipolio o contro l’epatite B nel periodo antecedente a quello in cui tali vaccinazioni, pur se già raccomandate, erano divenute obbligatorie −, i relativi dicta non possono trovare applicazione nel caso di specie. Tali sentenze, infatti, integrano ipotesi di pronunce additive per omissione (e non additive di principio) che operano soltanto entro gli stretti confini dell’oggetto specifico individuato dal relativo dispositivo: dunque, con effetti circoscritti alle sole previsioni delle vaccinazioni antipolio e antiepatite di tipo B. Da qui l’esigenza di sollevare, in riferimento all’ipotesi di specie, il relativo dubbio di legittimità costituzionale, non essendo praticabile una interpretazione adeguatrice nei sensi auspicati dalla parte ricorrente, anche se in tal senso si sono espresse alcune pronunce di merito. Approdo ermeneutico, quest’ultimo, peraltro contrastato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, evocando la natura assistenziale del beneficio in parola, quale forma di solidarietà sociale, impone una applicazione rigorosa della norma stessa. Al riguardo, il giudice a quo sottolinea come la legge n. 210 del 1992 abbia introdotto una tutela in chiave solidaristica in favore di soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni o somministrazioni di emoderivati o a seguito di attività di cura promosse o gestite dallo Stato per la tutela della salute pubblica, in ossequio ai princìpi tracciati da questa Corte nella sentenza n. 307 del 1990, ove si è evidenziata l’esigenza del necessario bilanciamento tra il valore individuale della salute e la solidarietà tra individuo e collettività, che sarebbe alla base del trattamento obbligatorio. Pertanto, «in difetto di una prestazione indennitaria, il soggetto danneggiato sarebbe costretto a sopportare, da solo, tutte le conseguenze negative di un trattamento sanitario effettuato non solo nell’interesse dell’individuo, ma anche dell’intera società». In tale alveo si collocano, dunque, le ricordate pronunce di questa Corte (n. 27 del 1998 e 423 del 2000), a fondamento delle quali – come ricorda il rimettente – fu posto il rilievo secondo cui differenziare il trattamento tra quanti hanno subìto la vaccinazione per imposizione di legge e quanti vi si sono sottoposti aderendo ad un appello alla collaborazione ad un programma sanitario, «si risolverebbe in una patente irrazionalità della legge. Essa riserverebbe, infatti, a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione».

A proposito della rilevanza della questione, il giudice rimettente osserva come risulti nella specie accertata − e comunque non contestata ex adverso − la sussistenza del nesso di causalità tra la vaccinazione praticata alla figlia dei ricorrenti e i danni alla integrità fisica della stessa; così come ugualmente documentata e non controversa appare la circostanza che la vaccinazione contro morbillo-parotite-rosolia abbia formato oggetto di una intensa campagna di sensibilizzazione, come attestato dalle circolari ministeriali e dai vari atti amministrativi analiticamente passati in rassegna dal giudice rimettente. La domanda di indennizzo, infine, è stata presentata entro i termini di legge.

Sulla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente puntualizza come la funzione della legge n. 210 del 1992 debba essere ricercata essenzialmente nella esigenza di dare attuazione a diritti inviolabili dell’uomo sanciti dalla Carta fondamentale: segnatamente, dall’art. 2, in riferimento al diritto-dovere di solidarietà sociale; dall’art. 3, sotto il profilo del riconoscimento a tutti di pari opportunità; dall’art. 32, che tutela il diritto alla salute. Rievocati, poi, i princìpi che hanno costituito il nucleo delle predette sentenze n. 27 del 1998 e n. 423 del 2000, il rimettente sottolinea come la giurisprudenza costituzionale − viene richiamata, in particolare, la sentenza n. 226 del 2000 − si è attestata nel reputare che la «ragione giustificativa dell’indennizzo debba rinvenirsi nella tutela dell’interesse alla promozione della salute collettiva – che può venire assunto ad oggetto di un obbligo legale o di una pubblica politica di diffusione – e non già e non tanto nell’obbligatorietà in quanto tale del trattamento, che costituisce mero strumento per il perseguimento di siffatto interesse generale».

L’indennizzo previsto dalla normativa censurata presenterebbe, dunque, una ratio correlata alla esigenza di attribuire al solidaristico intervento della collettività l’approntamento di rimedi a fronte dei danni subiti dall’individuo per sottoporsi ad un trattamento sanitario rivelatosi dannoso e praticato a beneficio della stessa collettività. Nel conflitto tra interesse individuale del singolo alla tutela della sua salute e tutela dell’interesse collettivo della salute come bene della comunità, il principio di solidarietà, se, da un lato, può far prevalere l’interesse collettivo su quello individuale, dall’altro lato «impone di prevedere una riparazione adeguata per quanti abbiano ricevuto un danno alla salute nell’adempiere i medesimi doveri di solidarietà che fondano il diritto all’indennizzo». Tale riparazione si imporrebbe, dunque, anche nell’ipotesi di vaccinazione non obbligatoria, ma «ampiamente caldeggiata dalle istituzioni sanitarie», giacché, altrimenti, «si finirebbe con il sacrificare il contenuto minimo del diritto alla salute di quanti sono stati indotti alla vaccinazione da ragioni di solidarietà sociale».

Nel caso di specie, il giudice a quo sottolinea come i ricorrenti si siano determinati alla vaccinazione «per la tutela della salute non solo della figlia, ma anche di quella altrui, in rapporto all’elevato rischio di contagio, in età scolare e prescolare; per il coinvolgimento delle strutture pubbliche nelle fasi del controllo farmacologico, della somministrazione e della propaganda». Considerato, pertanto, che la vaccinazione è stata effettuata in vista di un beneficio di carattere generale, «con conseguente compressione del diritto alla salute della figlia minore in nome della solidarietà verso gli altri», è ragionevole che debba essere la collettività stessa ad assumere i relativi costi. La mancata estensione dell’indennizzo risulterebbe, quindi, per tali ragioni, in contrasto con l’art. 2 Cost.

Il vuoto di tutela innanzi censurato violerebbe anche l’art. 3 Cost., per la irrazionale disparità di trattamento fra situazioni assimilabili. Si è, infatti, già evidenziata − segnala il giudice a quo − la comparabilità tra l’evento dannoso scaturito da un trattamento obbligatorio rispetto a quello conseguito a un trattamento sanitario raccomandato, sempre nell’interesse della collettività: «lo Stato non può ignorare o limitare la propria responsabilità oggettiva nei confronti dei cittadini, per lo più bambini, danneggiati da trattamenti scientificamente gravati da un rischio di effetti collaterali, più o meno gravi e permanenti, dopo averne consigliato il trattamento sanitario».

Rievocando ancora una volta i dicta delle richiamate pronunce di questa Corte, il giudice a quo ulteriormente e conclusivamente segnala come «in difetto di un equo ristoro in favore del soggetto passivo del trattamento sanitario raccomandato, si avrebbe l’irrazionale risultato di concedere l’indennizzo a coloro i cui genitori hanno adottato un comportamento di utilità generale dietro la minaccia della sanzione e di negarlo, per contro, a coloro i cui genitori hanno fatto ricorso alla vaccinazione per ragioni di solidarietà sociale». Sussisterebbe, inoltre, un ulteriore profilo di irrazionalità della norma impugnata, dal momento che essa estende i benefici anche a fattispecie di trattamenti non obbligatori, quale quello di cui al comma 4 dello stesso art. 1, ove è previsto l’indennizzo anche in caso di vaccinazione effettuata «per potere accedere ad uno Stato estero». Evenienza, questa, che non appare ragionevolmente giustificare un diverso trattamento rispetto alla vaccinazione raccomandata ed effettuata per ragioni di utilità sociale, visto che il viaggio all’estero può dipendere da ragioni di mero piacere.

Si denuncia, infine, violazione anche dell’art. 32 Cost., in quanto la norma oggetto di censura vanificherebbe senza giustificazione il diritto alla salute dei soggetti vaccinati, i quali, «accettando la vaccinazione in nome della solidarietà» nei confronti dei consociati, hanno subìto un danno irreversibile alla loro salute «per un beneficio atteso dall’intera collettività».

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale ordinario di Ancona ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 23 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), «nella parte in cui non prevede che il diritto all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge ed alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subìto lesioni e/o infermità, da cui siano derivati danni irreversibili all’integrità psico-fisica, per essersi sottoposti a vaccinazione, non obbligatoria ma raccomandata, contro il morbillo, la rosolia e la parotite».

Il Tribunale rimettente espone di essere chiamato a pronunciarsi, quale giudice del lavoro, sul ricorso − per ottenere l’indennizzo di cui alla disposizione denunciata − proposto dai genitori di una bambina la quale, a seguito della vaccinazione contro morbillo-parotite-rosolia (MPR), praticata mediante un vaccino poi ritirato dal commercio pochi giorni dopo la somministrazione, aveva subìto gravi patologie, ritenute ascrivibili alla VII categoria della tabella A) annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834 (Definitivo riordinamento delle pensioni di guerra, in attuazione della delega prevista dall’art. 1 della legge 23 settembre 1981, n. 533). La vaccinazione, ancorché non obbligatoria − e, dunque, non suscettibile di dar luogo, ove generatrice delle complicanze previste dalla normativa denunciata, all’indennizzo ivi previsto − si presentava, però, fortemente incentivata dalle pubbliche autorità, avendo essa formato oggetto di una intensa campagna di sensibilizzazione, attestata da numerosi atti emanati a tale riguardo dalla pubblica amministrazione. Sicché verrebbero in luce gli stessi princìpi in forza dei quali la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto estensibile l’indennizzo previsto dalla normativa oggetto di censura in favore di categorie di persone le quali avevano subìto danni a seguito di vaccinazioni effettuate in un periodo in cui queste non erano ancora obbligatorie, ma solo raccomandate. Il tutto − ha soggiunto il giudice a quo − in funzione di un adeguato risalto da annettere al principio solidaristico, in ragione del quale la collettività deve farsi carico, attraverso uno specifico indennizzo, dei danni subiti dal singolo, ove questi si sottoponga ad un trattamento sanitario in vista della tutela della salute, non solo individuale, ma anche collettiva.

Da qui, anzitutto, la denunciata violazione dell’art. 2 Cost., risultando priva di coerenza una normativa che non ricomprenda tra i fruitori del beneficio quanti, come la figlia dei ricorrenti, abbiano riportato menomazioni irreversibili per effetto di vaccinazioni che siano state oggetto di una politica sanitaria incentivante per esigenze di tutela della salute della intera collettività, come si è dimostrato essere la vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia. Risulterebbe anche violato l’art. 3 Cost., in quanto, in difetto di un equo ristoro in favore del soggetto passivo del trattamento sanitario raccomandato, si avrebbe l’irrazionale risultato di concedere l’indennizzo a coloro i cui genitori hanno adottato un comportamento di utilità generale dietro la minaccia di una sanzione e di negarlo, per contro, a coloro i cui genitori hanno fatto ricorso alla vaccinazione per ragioni di solidarietà. Compromesso sarebbe, infine, anche l’art. 32 Cost., dal momento che verrebbe ad essere ingiustificatamente vanificata la garanzia del diritto alla salute dei soggetti vaccinati i quali, accettando la vaccinazione in nome della solidarietà verso gli altri e dei vincoli che li saldano alla collettività, si siano trovati a subire un danno irreversibile alla loro salute per un beneficio atteso dall’intera collettività.

2.— La questione è fondata.

3.— In tema di vaccinazioni obbligatorie o raccomandate, e di diritto all’indennizzo per danni alla salute a seguito del trattamento praticato, questa Corte ha avuto modo di affermare, sin dalla sentenza n. 307 del 1990 − pronunciata in materia di vaccinazione antipoliomielitica per i bambini entro il primo anno di vita, all’epoca prevista come obbligatoria − che «la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale».

Ma se «il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività» − si soggiunse − esige che, «in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico», tuttavia esso «non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri». Ne deriva che «un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute − e lo stesso spirito di solidarietà (da ritenere ovviamente reciproca) fra individuo e collettività che sta a base dell’imposizione del trattamento sanitario − implica il riconoscimento, per il caso che il rischio si avveri, di una protezione ulteriore a favore del soggetto passivo del trattamento. In particolare finirebbe con l’essere sacrificato il contenuto minimale proprio del diritto alla salute a lui garantito, se non gli fosse comunque assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito».

La richiamata pronuncia costituì, come è noto, la base su cui venne, poco dopo, approvata la legge n. 210 del 1992 (si veda la relazione al progetto di legge n. 4964 presentato alla Camera dei deputati il 12 luglio 1990 e confluito, assieme ad altre iniziative parlamentari, nei lavori preparatori della legge in esame), risultando poi progressivamente acquisita − sul fermo presupposto che, in ogni caso, la vaccinazione non sia «configurabile quale trattamento coattivo» (sentenza n. 132 del 1992) − non solo la stretta correlazione, nella «disciplina costituzionale della salute», tra diritto fondamentale dell’individuo (lato «individuale e soggettivo») e interesse della intera collettività (lato «sociale e oggettivo») (sentenza n. 118 del 1996); quanto, soprattutto, la necessità che, ove i valori in questione vengano a trovarsi in frizione, l’assunzione dei rischi, relativi a un trattamento “sacrificante” della libertà individuale, venga ricondotta ad una dimensione di tipo solidaristico.

Ponendosi, inoltre, nella prospettiva di individuare la ratio della provvidenza indennitaria in ogni situazione in cui il singolo abbia esposto a rischio la propria salute per la tutela di un interesse collettivo, si è in seguito affermato che dagli artt. 2 e 32 Cost. deriva l’obbligo, simmetricamente configurato in capo alla stessa collettività, «di condividere, come è possibile, il peso delle eventuali conseguenze negative» (sentenza n. 27 del 1998). Se ne è fatto conseguire che non vi è, dunque, ragione di differenziare il caso in cui «il trattamento sanitario sia imposto per legge» da quello «in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società; il caso in cui si annulla la libera determinazione individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di politica sanitaria». «Una differenziazione − si è precisato − che negasse il diritto all’indennizzo in questo secondo caso si risolverebbe in una patente irrazionalità della legge. Essa riserverebbe infatti a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza di minaccia di sanzione» (sentenza n. 27 del 1998). Ne è, in sintesi, derivato che «la ragione determinante del diritto all’indennizzo» è «l’interesse collettivo alla salute» e non «l’obbligatorietà in quanto tale del trattamento, la quale è semplicemente strumento per il perseguimento di tale interesse»; e che lo stesso interesse è fondamento dell’obbligo generale di solidarietà nei confronti di quanti, sottoponendosi al trattamento, vengano a soffrire di un pregiudizio (sentenze n. 226 e n. 423 del 2000).

4.— Su queste basi, si può osservare, più in dettaglio, che, se nella profilassi delle malattie infettive appaiono decisive le attività di prevenzione, dirette a scongiurare e a contenere il pericolo del contagio, è in ogni caso decisivo il rilievo assunto dalle campagne di sensibilizzazione da parte delle competenti autorità pubbliche allo scopo di raggiungere e rendere partecipe la più ampia fascia di popolazione. In questa prospettiva − nella quale è perfino difficile delimitare con esattezza uno spazio “pubblico” di valutazioni e di deliberazioni (come imputabili a un soggetto collettivo) rispetto a uno “privato” di scelte (come invece imputabili a semplici individui) − i diversi attori finiscono per realizzare un interesse obiettivo − quello della più ampia immunizzazione dal rischio di contrarre la malattia − indipendentemente da una loro specifica volontà di collaborare: e resta del tutto irrilevante, o indifferente, che l’effetto cooperativo sia riconducibile, dal lato attivo, a un obbligo o, piuttosto, a una persuasione o anche, dal lato passivo, all’intento di evitare una sanzione o, piuttosto, di aderire a un invito.

In presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore della pratica di vaccinazioni è, infatti, naturale che si sviluppi un generale clima di “affidamento” nei confronti proprio di quanto “raccomandato”: ciò che rende la scelta adesiva dei singoli, al di là delle loro particolari e specifiche motivazioni, di per sé obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo. Corrispondentemente a questa sorta di cooperazione involontaria nella cura di un interesse obiettivamente comune, ossia autenticamente pubblico, apparirà naturale reputare che tra collettività e individui si stabiliscano vincoli propriamente solidali, nel senso − soprattutto − che le vicende delle singole persone non possano che essere riguardate anche sotto una prospettiva “integrale”, vale a dire riferita all’intera comunità: con la conseguenza, tra le altre, che, al verificarsi di eventi avversi e di complicanze di tipo permanente a causa di vaccinazioni effettuate nei limiti e secondo le forme di cui alle previste procedure, debba essere, per l’appunto, la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio individuale piuttosto che non i singoli danneggiati a sopportare il costo del beneficio collettivo.

Sul piano dei valori garantiti, in Costituzione, dall’art. 2, nonché dall’art. 32, lo sfumare, in altri termini, del rilievo delle motivazioni strettamente soggettive (che possano aver indotto verso le scelte imposte o auspicate dall’amministrazione sanitaria) giustifica la traslazione in capo alla collettività (anch’essa obiettivamente favorita da quelle scelte) degli effetti dannosi eventualmente conseguenti. In un contesto di irrinunciabile solidarietà, del resto, la misura indennitaria appare per se stessa destinata non tanto, come quella risarcitoria, a riparare un danno ingiusto, quanto piuttosto a compensare il sacrificio individuale ritenuto corrispondente a un vantaggio collettivo: sarebbe, infatti, irragionevole che la collettività possa, tramite gli organi competenti, imporre o anche solo sollecitare comportamenti diretti alla protezione della salute pubblica senza che essa poi non debba reciprocamente rispondere delle conseguenze pregiudizievoli per la salute di coloro che si sono uniformati.

In un quadro di riferimento quale quello accennato, è agevole avvedersi di come la pratica della vaccinazione contro morbillo-parotite-rosolia abbia formato oggetto, da più di un decennio, di insistite ed ampie campagne, anche straordinarie, di informazione e raccomandazione da parte delle pubbliche autorità sanitarie, nelle loro massime istanze (con distribuzione di materiale informativo specifico sia tra gli operatori sanitari sia presso la popolazione); al punto che, nel sito informatico ufficiale dello stesso Ministero della salute, tra le «vaccinazioni raccomandate», compare tuttora quella in questione, in linea con le determinazioni di cui già al decreto ministeriale 7 aprile 1999 (Nuovo calendario delle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate per l’età evolutiva), alla circolare n. 12 del 13 luglio 1999 (Controllo ed eliminazione di morbillo, parotite e rosolia attraverso la vaccinazione), al Piano nazionale per l’eliminazione del morbillo e della rosolia congenita (approvato, per il periodo 2003-2007, dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta del 13 novembre 2003 e ora, per il periodo 2010-2015, con Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2011) nonché al Piano nazionale vaccini (aggiornamento 2005). La ricognizione operata, sul punto, dallo stesso giudice rimettente deve ritenersi pertanto esaustiva ai fini della dimostrazione dell’assunto secondo il quale la pratica in questione, pur non essendo obbligatoria ex lege, si inserisce in quel filone di protocolli sanitari per i quali l’opera di sensibilizzazione, informazione e convincimento delle pubbliche autorità − in linea, peraltro, con i «progetti di informazione» previsti all’art. 7 della stessa legge n. 210 del 1992 e affidati alle unità sanitarie locali «ai fini della prevenzione delle complicanze causate da vaccinazioni» e comunque allo scopo di «assicurare una corretta informazione sull’uso di vaccini» −viene reputata più adeguata e rispondente alle finalità di tutela della salute pubblica rispetto alla vaccinazione obbligatoria.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto ad un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti di coloro i quali abbiano subìto le conseguenze previste dallo stesso articolo 1, comma 1, a seguito di vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2012.

Alfonso QUARANTA, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere



Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *